LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE, SE SOSPENDI IL SAPERE"
modificata il 13 ottobre 2011

 

 

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Lacan era fenomenologo? (teologo)

Da quasi un trentennio frequento i filosofi del giro del pensiero debole, che pubblicano la rivista di filosofia “aut aut”, di cui mi onoro di essere redattore. Per molto tempo mi sono chiesto perché mai dei filosofi si interessassero alla psicanalisi, in particolare a quella in versione lacaniana. Per formazione sono sempre stato portato a pensare – anche quando ero lacaniano osservante – che alla psicanalisi si dovesse necessariamente arrivare dalla scienza, essendo stato questo il percorso di Freud. (Oggi questa considerazione non avrebbe più motivo di sussistere, essendo tutte le formulazioni teoriche della psicanalisi, quelle lacaniane comprese, ricorosamente ascientifiche.) Mi meravigliava, perciò, che dei filosofi, già di per sé poco inclini - per non dire ostili - al discorso scientifico, si interessassero alla psicanalisi, magari senza avere mai fatto una sola seduta psicanalitica.

Ho formulato tante congetture. La filosofia, in particolare la fenomenologia, mette in questione il soggetto, come la psicanalisi. Ma la filosofia, in particolare la fenomenologia, non si interessa dell’oggetto, al contrario della psicanalisi. I fenomenologi, poi, non sono teneri con la scienza, anche perché non la conoscono bene, avendo ancora oggi in testa l’immagine di scienza positivista (oggettiva, quantitativa, determinista), messa da Comte al centro della propria metafisica, e pubblicizzata in questi termini persino da un avversario dichiarato del positivismo: Herr Heidegger. Come possono nutrire del tenero per la psicanalisi, i fenomenologi? Qualcosa non mi tornava.

In realtà, la risposta era troppo vicina, perché la scoprissi subito. Ho dovuto ricordarmi - non ricordo più in quale occasione - che da piccolo, ai tempi “basagliani” in cui la psichiatria non era ancora completamente farmacologizzata, non imperversavano le varie versioni del DSM, e si faceva ancora della clinica al letto del malato, presi addirittura una specializzazione in psichiatria. (Uscii, definitivamente, da quella pratica medica con la lode). Erano i tempi in cui si parlava ancora di isteria e non di attacchi di panico. La depressione era ancora un'entità nosologica e non solo disturbo dell’umore, buono per la sperimentazione clinica degli psicofarmaci. La nevrosi ossessiva non era ancora diventata sindrome coattivo-compulsiva. Oggi si è perso tutto questo. Perché? Perché si è persa la base della psichiatria, cioè la fenomenologia. Che, almeno in psichiatria, ha dei meriti, avendo salvato buona parte della tradizione clinica. Oggi, invece, la psichiatria ha come base l’industria farmaceutica. Non esiste più clinica, ma solo sperimentazione controllata (con parvenza di scientificità) dei farmaci.

Ecco, allora, spiegato il piccolo mistero. Lacan era psichiatra, quindi di formazione  fenomenologica, perciò era naturale che interessasse ai fenomenologi. Lacan interessa ai filosofi in quanto filosofo, non in quanto freudiano, cioè uomo di scienza. (Che, tra parentesi, per Lacan non esiste).

Le mie considerazioni convergono verso la tesi: Lacan fu un filosofo di stampo fenomenologico con spiccati interessi psicanalitici, che fecero la sua fortuna, come amava dire. Fu meno un eretico (con buona pace dell'IPA, che lo considerava tale) e più un dilettante di psicanalisi, a volte geniale, nascosto (molto nascosto) tra i panneggi del guru. (Un meccanismo di seduzione delle masse ben funzionante e già gettonato da Jung, un altro grande dilettante di psicanalisi).

Comincio dalla questione più pertinente a questo sito:

la scienza per Lacan.

La posizione di Lacan nei confronti della scienza è pari pari quella di Husserl. Riconosce che Cartesio inaugura il soggetto della modernità, ma subito dopo ne contesta la pratica. Non scrive una Crisi delle scienze europee, ma dichiara che “la scienza è l’ideologia della soppressione del soggetto” (Radiophonie, “Scilicet” 2/3, Seuil, Paris 1970, p. 89). Naturalmente, la riabilitazione del soggetto è merito della sua psicanalisi, che è la vera scienza “rigorosa” del campo freudiano.

Miller, legatario di Lacan, lo dice in modo più complicato, alla fine degli Ecrits del suocero.

Safouan prova ad articolare meglio il discorso. Fa discendere la soppressione del soggetto dal fatto che Cartesio si sbarazzi della questione della verità per aver mano libera nel campo del sapere e della certezza . Nella Prefazione al Congresso della Foundation Européenne, tenuto a Padova nel 2005, (Franco Angeli, Milano 2007), leggo: "Con la sua dottrina della creazione della verità eterna, per avere libertà d'azione nel campo del sapere, deve sbarazzarsi della questione della verità, lasciandone tutto il carico a Dio. La verità tuttavia, rigettata dall'ambito della scienza, ritorna nel campo della psicanalisi. Così Lacan può affermare senza contraddizione che il soggetto della psicanalisi è il soggetto fuorcluso della scienza" (Ivi, p. 11).

Naturalmente, sono affermazioni dottrinarie incontrovertibili, cioè non scientifiche. Hanno tutte – ne potrei aggiungere molte altre di Lacan e dei suoi ripetitori – un’origine comune: la sopravvalutazione teologica della verità. In ciò non sono affermazioni scientifiche. La scienza, non essendo teologia, non sopravvaluta la verità. Non fa dire alla Verità: “Io, la Verità, parlo”. Il dogmatismo delle dottrine e dei catechismi deriva dalla prepotenza della verità, che lì si incarna. Il motto dogmatico, giustificabile sulla bocca di Picasso, non di uno scienziato, è: “Io non cerco trovo” (anzi ho già trovato tutto nel libro sacro) e impongo a te le mie trovate, magari sulla punta del Kalashnikov. Picasso, almeno, usava la punta del pennello.

Tutt’altro discorso per la scienza cartesiana. Per Cartesio la verità è affare di un dio non ingannatore. Non è neppure da cercare. Si sa che è lì. All’uomo compete l’umile ricerca della certezza, a cominciare dal dubbio per finire con la matematica.

Matematica?

Avete mai sentito un fenomenologo parlare di matematica o in termini matematici?

Leggete La filosofia dell’aritmetica di Husserl o passate in rassegna qualche seminario di Lacan – giustamente non pubblicato dal genero – dedicato alla topologia… per inorridire o riderci sopra. I matemi di Lacan sono una bufala. Sono presentati sub specie mathematicae. In realtà, non se ne ricava un solo teorema. Sono usati in funzione strumentale da Lacan per trasmettere integralmente la propria dottrina ai propri allievi come ausili mnemotecnici (non da tutti graditi, per fortuna).

Allievi, l’eterno sintomo.

Ne parlo nella mia parafrasi dello Stordito (1972), l’ultimo scritto di Lacan, prima che l’afasia-agrafia l’attanagliasse. (Non posso metterla in rete per non incorrere nelle ire giuridicamente giustificabili del genero, ma posso consegnarlo brevi manu a chi me ne chiedesse una copia. In regime di ortodossia imposta dall’alto anche il Samizdat va bene.)

Ci sono altri indizi che rivelano la natura fenomenologica dell’elucubrazione lacaniana. Per lo più ruotano intorno alla prevalenza della funzione dello sguardo: dallo stadio dello specchio, all’esperimento del bouquet renversé e alle considerazioni sull’anamorfosi. Cose buone e cose raccogliticce (da altri filosofi: Sartre, Merleau-Ponty…), insieme a considerazioni pseudoscientifiche che piacciono tanto ai fenomenologi. Ma anche l'analisi filologica del discorso lacaniano porta acqua al mulino della fenomenologia. Cito due termini di chiara provenienza fenomenologica, che considero tipici del discorso fenomenologio posthusserliano (e postheideggeriano):

semblant e destitution subjective.

L'uso della parola semblant, praticamente intraducibile in italiano, corrisponde al concetto di "fenomeno", così come è stato analizzato nella molteplicità delle sue accezioni (parvenza, apparenza, fenomeno in senso stretto) da Heidegger nel § 7 (sottoparagrafo A) del suo Essere e tempo, giusto immediatamente prima dell'analisi del concetto di logos (sottoparagrafo B). Naturalmente, Lacan, che non è uno stupido, erra. Tenta di prendere in tutti i modi le distanze dalla fenomenologia. Intitola il suo Seminario XVIII D'un discours qui ne serait pas du semblant, dimenticando la lezione freudiana della negazione che non sempre nega.

Per l'analisi della destitution subjective, da tradurre desoggettivazione, rimando a Giorgio Agamben, in particolare al capitolo III di Quel che resta di Auschwitz, intitolato La vergogna, o del soggetto (Bollati Boringhieri, Torino 1998, pp. 81-126.). Quel che ai fini culturali importa sottolineare non è tanto la rilevanza della nozione di vergogna nella filosofia e nella psicanalisi contemporanee - documentabile in filosofia dai tempi di De l'évasion (1935-36) di Emmanuel Lévinas - quanto il confluire, il tranquillo coabitare e il reciproco sostenersi nella formazione di ogni psichiatra (nel caso Lacan) e di ogni teologo (nel caso Agamben) di due dimensioni: la fenomenologica, per la via del soggetto, e la giuridica, per la via della colpa.

Per una visione d'insieme sulla fenomenologia di Lacan, rimando al capitolo

La pace della sera (Abendfrieden)

del Soggetto debole. Per il pensiero di Pier Aldo Rovatti,

tesi di dottorato di René Scheu.

L'autore dimostra che, per costruire la propria fenomenologia dell'ascolto, intesa come pratica di chiusura al senso predeterminato delle parole e apertura alla "sorpresa" del significante, Lacan usa strumentalmente addirittura l'ipotesi di esistenza dell'inconscio freudiano. E' chiaro il parallelismo tra l'operazione lacaniana e quella, a vario titolo husserliana e heideggeriana. Si tratta di indebolire il soggetto, che non è padrone nella casa delle parole. In modi diversi e con finalità divergenti Husserl, Heidegger e Lacan realizzerebbero un'epoché del linguaggio: o per andare verso le cose stesse (Husserl) o perché le cose vengano a noi (Heidegger) o per ascoltare l'inconscio (Lacan).

La conclusione che si può trarre da questa analisi è semplice. Dalla sospensione del senso comune, dalla messa tra parentesi del significato cognitivisticamente stabilito, come adeguamento al referente, insomma, dalla sua particolare epoché linguistica, nasce la teoria lacaniana del significante senza significato, che rappresnta il soggetto per un altro significante. E' una teoria che indebolisce il soggetto, diviso com'è tra quel che dice e quel che vuol dire. Questo è un guadagno della dottrina lacaniana, ma ha un prezzo molto alto. Simmetricamente all'indebolimento del soggetto, infatti, Lacan realizza uno strepitoso rafforzamento del logos. Giustamente Derrida gli contesta il fallologocentrismo. Forse un autentico filosofo non avrebbe mai realizzato l'epoché linguistica nei termini grossolani di Lacan.

Si possono presentare queste conclusioni in altri termini, più definitivi, che consentono di "dimenticare Lacan" una volta per tutte.

Il paradigma RSI (reale-simbolico-immaginario), cui Lacan dedica uno dei suoi peggiori seminari (1974-1975), è una pesante astrazione. Esso è il frutto di una doppia epoché fenomenologica. La prima epoché (husserliana) sospende il riferimento del pensiero alla realtà e genera il registro immaginario (o narcisistico). La seconda epoché (heideggeriana) sospende il riferimento del linguaggio a ogni significato (quindi al registro immaginario) e genera il registro simbolico (o superegoico). Il risultato è la teoria del significante senza referente (neppure se stesso) e senza significato, che "rappresenta il soggetto per un altro significante". Il paradigma RSI è una drastica semplificazione. Anche il matematico, che ama semplificare, non l’apprezza. Ha ragione. È una semplificazione sterile che impoverisce il pensiero freudiano.
Così posso finalmente dimenticare Lacan e dedicarmi alla psicanalisi scientifica.

(Nota filosofica. L'errore filosofico di Lacan è banale. Mentre il filosofo usa l'epochè in via transitoria - per esempio, Husserl per definire il soggetto trascendentale - Lacan la usa in via definitiva e una volta per tutte. I tre anelli annodati in modo borromeo, cioè non a due a due, codificano per l'eternità la sospensione di rapporti tra immaginario, simbolico e reale. La tesi più famosa di Lacan - il reale è l'impossibile - è un artefatto che consegue all'errore filosofico. Se il reale è ciò che resta della doppia sospensione del pensiero e del linguaggio, il meno che gli può capitare è di essere impossibile da attingere.)

A questo punto non è inutile ricordare che è possibile una lettura fenomenologica anche dell'ultimo Fachinelli. La sua Mente estatica, dove il tempo epistemico diventa il tempo della sospensione delle certezze e delle datità, rappresenta a buon diritto una ricerca psicanalitica in campo fenomenologico. Lacan aveva buoni motivi per interessarsi al lavoro di Fachinelli. (Tanto da volerlo cooptare nel famoso tripode italiano). L'approccio fachinelliano alla fenomenologia era senz'altro più soft e più ricco di sfumature di quello lacaniano. Si pensi alla nozione di "ospite interno", che inaugura una topologia dell'enclave. (Una topologia vera, non una topologia applicata come un vestito prêt-à-porter a una dottrina precostituita). Per chi è interessato a saperne di più rimando al paragrafo Mente estatica del libro di Pier Aldo Rovatti, L'esercizio del silenzio (Cortina, Milano 1992, pp. 90-93).

Il côté francese dell'argomento psicanalisi/fenomenologia è sviluppato nel saggio di Raoul Silvestri, La dicotomia soggetto/oggetto nel pensiero di Lacan e di Merleau-Ponty, "aut aut", 333, gen-mar 2007, pp. 168-187. In esso l'autore "salva" Lacan in quanto, nonostante le distrazioni fenomenologiche, avrebbe mantenuto fermo il timone della sua ricerca in direzione dell'oggetto.

Ho parlato delle ascendenze filosofiche di Lacan ai riti di appartenenza della Foundation europèenne pour la Psychanalyse nel citato congresso di Padova (Padoue per i francesi) del 2005 su La psicanalisi e la scienza, dove critico la nozione di fuorclusione (aggiungo qui anche i miei inteventi orali, che non sono passati agli atti), e a Berlino (Berlin per i tedeschi) al convegno del 2006 sulla sessualità, dove discuto del fatto che Lacan non parli quasi mai di sessualità infantile.

Entrambe le volte con scarsa ricezione da parte dei francesi, ivi intervenuti numerosi, pronti a difendere, spade in pugno, il loro maestro, dai tentativi di un italien di lederne la maestà, e a proteggere le loro colonie, rispettivamente italiana e tedesca, dalle eresie di un uomo di scienza, che pretende matematizzare la psicanalisi.

(Se la psicanalisi fosse matematizzata, automaticamente si scioglierebbe il legame sociale che lega le colonie psicanalitiche alla madre patria: Parigi, per le colonie lacaniane, New York, per le colonie freudiane ortodosse).

Sulla quarta di copertina degli atti del congresso di Padova del 2005 leggo:

"Nell'esperienza dell'inconscio, pur nella loro inesauribile varietà. elementi di sapere invariabilmente ricorrono, che possono essere collazionati e messi in serie al fine di un'elaborazione dottrinale (sic); ma la loro sistemazione in un corpus, per fortuna, non darà mai vita a un sapere tecnologico, come avviene per le scienze fisico-matematiche".

Si tratta del rifiuto della scienza di un accecamento tale da essere paragonabile solo al rifiuto dell'isteria da parte della psichiatria ottocentesca. (E che continua tuttora sulle pagine del DSM IV, da cui l'isteria è espunta). E' ben giustificato, allora, il titolo del mio libro

Scienza come isteria

(Campanotto, Udine 2005). Tanto vale mettere in rete sia l'edizione tedesca (precedente) sia quella italiana (successiva).

(Naturalmente, per gli umanisti in generale e per i fenomenologi in particolare, matematica vuol dire regno del quantitativo e del misurabile. Non sanno che la topologia nasce come matematica qualitativa e non metrica, che ha come oggetto l'infinito).

Ma forse non occorre rimestare più a lungo l’argomento. Resta, ed è evidente, l’intuizione psicanalitica di Lacan. Su un punto in particolare difendo Lacan: sull’invenzione dell’oggetto-a. Ne difendo la natura scientifica – come rappresentante dell’infinito – nel momento stesso in cui ne contesto la definizione prescientifica come oggetto-causa del desiderio.

Come Freud e forse più di Freud, Lacan è ippocratico. Ragiona in termini di cause o agenti - si intende, anche se non lo dice - patogeni. Non privilegia i traumi alla Freud, ma è fortemente determinista, forse più di Freud (che è, invece, sovradeterminista). Quello lacaniano è un determinismo singolare, tutto filosofico, cioè senza meccanicismo. È determinismo “rigoroso” (un altro aggettivo fenomenologico). Mira a determinare l’essenza delle “cose stesse” (tipico programma fenomenologico da Husserl a Heidegger). Ma con una differenza sostanziale rispetto al programma fenomenologico. La causa per antonomasia è in Lacan la verità della cosa, cioè la sua essenza. Tipo: il desiderio è il desiderio dell’Altro; l’inconscio è strutturato come un linguaggio; il rapporto sessuale non esiste in essenza, e via dicendo.

Ma “essenza” non è significante scientifico. Se non è filosofico, è alchimistico. Il termine essenza non si usa neppure in chimica aromatica. (Per il determinismo non meccanicistico di Lacan rimando alla sua conferenza sulla cibernetica del 22 giugno 1955, inclusa nel Seminario II).

In conclusione, da tutto l’insegnamento lacaniano non si può ricavare una scienza. Al massimo una religione, al minimo una filosofia. Destino dei maestri.

Nell'analisi della filosofia lacaniana come fenomenologia seguo attualmente una congettura, che non ha ancora molti riscontri, ma mostra una certa coerenza. In fondo, il logocentrismo di Lacan è il suo archetipo. Quale precisamente tra quelli riconosciuti da Jung? Sono portato a pensare che il Grande Altro sia l'Ombra. Non assenza di luce ma luce dietro la luce. Il Grande Altro è la matrice luminosa - numinosa - del soggetto. Ma questo schematismo metafisico è quello tipico della fenomenologia dello sguardo. E sull'importanza della funzione dello sguardo nella dottrina lacaniana non ci sono dubbi.

Per iniziare una discussione riporto alcune analogie e differenze tra

Altro e Ombra.

L'Altro è un luogo. L'Ombra ha luogo.

L'Altro è il luogo della parola. L'Ombra è il luogo del silenzio. (L'Ombra assomiglia più dell'Altro all'Es freudiano, che "non può dire ciò che vuole".)

Dall'Altro il soggetto riceve il proprio messaggio in forma invertita. L'Ombra ora inverte destra e sisinitra, ora no. Dipende dalla posizione della sorgente di luce.

Non esiste l'Altro dell'Altro. Non esiste l'Ombra dell'Ombra.

L'Io (je) è incluso nell'Altro. Il Sé è incluso nell'Ombra (almeno nel discorso della fenomenologia).

L'Altro è diverso dal simile. Anche l'Ombra.

L'Altro reale è la morte. L'Ombra sta tra immaginario e reale.

L'Altro è l'assoluto. L'Ombra è il destino.

E' da buttare, allora, il lacanismo?

Certamente no.

Mi dispiace deludere chi vorrebbe concludere semplicisticamente che Sciacchitano non è più freudiano e non è più lacaniano, solo perché critica i dogmi dei maestri e le ideologie degli allievi. Sciacchitano non rinnega né il freudismo né il lacanismo, ma usa strumentalmente (molto) del freudismo e (poco) del lacanismo per pensare

una psicanalisi scientifica.

Chi vuol dargli una mano?

*

Su Lacan fenomenologo esistono lavori accademici, di approccio meno polemico del mio. Tra gli altri cito quello di Bernard Baas, De la Chose à l'objet. Jacques Lacan et la traversée de la phénoménologie, Peeters Vrin, Louvain 1998.

Si legge in quarta di copertina:

"Dans ses Écrits comme dans son enseignement, Lacan n’a
cessé de se référer à la phénoménologie; et, pour une part
essentielle, sa théorie du désir procède d’une démarche
transcendantale. Mais cela ne signifie pas qu’on pourrait
réduire sa pensée à ces coordonnées philosophiques. Il s’agit
au contraire de découvrir et de reconnaître que par ses efforts
théoriques, et notamment par l’élaboration du concept
d’«objet a», Lacan a voulu forcer les limites de la philosophie transcendantale jusqu’à traverser la phénoménologie,
pour interroger cette part de notre chair où gît la vérité du
désir."

Un "cave canem" dell'editore mi impedisce di riportare l'interessante paragrafo "Lacan et la phénoménologie" (pp. 33-39). La tesi dell'autore, che condivido e riporto con parole mie, sostiene che Lacan è un fenomenologo che va oltre la fenomenologia trascendentale nel momento in cui inventa l'oggetto a. Prima di allora Lacan tiene un discorso sul soggetto, a partire da Cartesio (come Husserl), che potrebbe passare per fenomenologia trascendentale - in versione più heideggeriana che husserliana, cioè senza un'esplicita epoché. Dopo si lascia alle spalle la fenomenologia, come discorso senza oggetto, e si avvia sulla strada della psicanalisi scientifica. Su cui, a mio avviso, fa i primissimi passi e poi si ferma disorientato. (Anche a causa della malattia neurologica).

*

Uno spunto di ricerca storica: Kojève, maestro di filosofia di Lacan e di tanti altri belli spiriti della sua generazione, fu un fenomenologo, indifferente alla carriera accademica. Il suo troppo famoso seminario di Introduzione alla lettura di Hegel (1933-39) (a cura di Gian Franco Frigo, Adelphi, Milano 1996) prese come scusa Hegel, un ben consolidato punto di ancoraggio, per introdurre in Francia la "nuova" fenomenologia di Husserl, che qualche anno prima aveva tenuto i suoi Discorsi parigini alla Sorbona, spacciandosi per fondatore del neocartesianesimo.

Cito da Kojève: "La sua [di Hegel] Fenomenologia si è rivelata un'antropologia filosofica. [Tesi ripresa e sviluppata contro Husserl da Heidegger]. Più esattamente: una descrizione sistematica e completa, fenomenologica nel senso moderno (husserliano) del termine, degli atteggiamenti esistenziali dell'Uomo, fatta in vista dell'analisi ontologica dell'Essere in quanto tale; analisi che costituisce il tema della Logica". (Ivi, p. 72).

Insomma, siamo allo zoccolo duro del logocentrismo. Ma con il logocentrismo non si fa scienza, tutt'al più nominalismo. Lacan apprese da Kojève le giaculatorie logocentriche relative all'inconscio strutturato come un linguaggio. Il colpo di genio di Lacan fu commerciale (il nonno droghiere fremette nella tomba di orgoglio parentale): le vendette per freudiane. Gli ignoranti abboccarono in tantissimi. L'esca era semplice: togliere a Freud quella parvenza di scientificità, che da Cartesio in poi suscita tante resistenze, e agghindarlo con i paramenti del buon senso fenomenologico (aristotelico e prescientifico), che non fa paura a nessuno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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